Detroit: Become Human

Quello delle avventure dinamiche è un genere a cui non sono abituato a giocare, complice il fatto che il gameplay semplificato e le poche meccaniche inserite al suo interno mi hanno sempre fatto preferire altri generi videoludici. Tuttavia, la mia esperienza con Heavy Rain mi ha insegnato che questi sono prodotti da non sottovalutare, soprattutto perché le trame e le storie inserite al loro interno sono molto suggestive ed emozionanti, pieni colpi di scena, suspense e sviluppi interessanti.
Su suggerimento di un amico, che con questi giochi invece ha molto più a che fare di me, mi è stato consigliato un altro prodotto, sempre di Quantic Dream, uscito per Ps4 il 25 Maggio 2018 e per Microsoft Windows il 12 Dicembre 2019.
Parliamo di Detroit: Become Human.

Non sapere cosa aspettarsi:

Non avendo assolutamente idea di cosa aspettarmi, lo presi affidandomi solo al consiglio di questa persona e approfittando successivamente della presenza di questo videogioco all’interno dei possibili download gratuiti per i possessori di Ps Plus.
Direi di non tergiversare oltre, e di immergerci subito all’interno di un mondo futuristico fatto di tecnologia avanzata… e androidi!!!

Androide o non Androide, questo è il dilemma!

La trama si svolge (ovviamente) a Detroit, nell’anno 2038. La città è ricolma di persone che protestano, causando disordini, disagi e anche diversi episodi di violenza con le forze dell’ordine. Il motivo di queste rivolte è da ricercarsi in un prodotto lanciato sul mercato 10 anni prima, nel 2028, da un’azienda chiamata Cyberlife: quest’ultima, infatti, dopo la sua fondazione nel 2018, è diventata nel giro di vent’anni un colosso mondiale della tecnologia e della cibernetica, grazie all’introduzione di macchine umanoidi dall’aspetto molto simile a quello dei suoi creatori.
Questi androidi, che col tempo hanno ricevuto diversi aggiornamenti, rivisitazioni e miglioramenti, sono diventati una forza-lavoro sempre più sfruttata, grazie anche al fatto che possono lavorare senza sosta senza dover soddisfare i fabbisogni vitali di cui una persona vera necessiterebbe.

Giusto “qualche” polemica…

Da qui, la rabbia delle persone che hanno iniziato a lamentare la perdita del posto di lavoro e la conseguente impossibilità a rimediarne un altro. A ciò si aggiunge anche una crescente sfiducia nei confronti di queste “macchine” dovuta al fatto che si sono dimostrate, nel corso degli anni, più intelligenti, più capaci e più produttivi della maggior parte degli umani.
L’avventura passa attraverso il punto di vista di tre personaggi differenti: Markus, Connor e Kara. Ognuno ha la sua storia, le sue avventure e le sue decisioni da prendere, ma tutti e tre hanno una cosa in comune: sono androidi!

Intrecci, retroscena e un sacco di decisioni

Le loro storie si intrecceranno, i loro cammini si intersecheranno, ma per quanto siano tre modelli differenti con caratteristiche diverse e una personalità unica rispetto agli altri due, tutti loro si dovranno scontrare con un contesto sociale che li vede come malvenuti, temuti e criticati.
Se decidete di approcciare quest’avventura dinamica, sappiate che vi aspettano come minimo dalle 10 alle 15 ore di gioco (per la sola prima partita, ovvio) dove succederà di tutto, dove dovrete prendere una quantità indicibile di decisioni e dove tutto ciò che deciderete di fare o di dire avrà delle ripercussioni sul breve e sul lungo periodo. Siete stati ufficialmente avvisati.

Un prodotto dalle mille trame:

Unica pecca, purtroppo, è che, se siete amanti della fantascienza, nulla di particolarmente innovativo verrà aggiunto in termini di ambientazione, ma molto sarà introdotto in termini emozionali.
In un tipo di gioco come l’avventura dinamica, la trama ricopre un ruolo fondamentale. Pensare all’eccezionale lavoro svolto da Quantic Dream nella realizzazione della quantità indicibile di possibilità offerte mi ha piacevolmente sorpreso.
Tutto ciò va ad influenzare naturalmente la rigiocabilità del titolo stesso: ricominciare la trama prendendo decisioni differenti, infatti, fa prendere all’avventura direzioni veramente molto diverse, influenzando non solo l’epilogo finale, ma anche lo sviluppo di tutti i suoi eventi precedenti ad esso. Purtroppo, alcune brevi scene che già si conoscono e si vorrebbero evitare non si possono saltare, il che può creare un po’ di noie ad alcuni di quei videogiocatori più impazienti di proseguire.

I protagonisti di questa storia:

Oltre allo splendido racconto, questo prodotto ci offre anche tre personaggi principali davvero interessanti.

Marcus, il maggiordomo:

Marcus, un modello di RK200, è una sorta di maggiordomo che lavora presso la casa di un grande artista di età avanzata, Carl Manfred. Costui, sorpreso ogni giorno delle capacità intellettuali di Markus, più volte cerca di far uscire dal’androide una componente irrazionale che ovviamente non gli appartiene: l’androide, infatti, pur essendo pressoché imbattibile a scacchi e pur avendo le capacità di imitare perfettamente le opere di Carl, non riesce tuttavia a comprendere la natura umana con il suo libero arbitrio e il suo senso di giustizia.

Kara, l’androide-casalinga

Per quanto diversa nell’aspetto e nella funzionalità, Kara si ritrova nella medeisma situazione di incomprensione degli atteggiamenti umani. Lei, tuttavia, un modello di AX400 adibito alle attività domestiche, dimostra fin dall’inizio un curioso interesse nei confronti di Alice, una bambina che abita con il padre in una casa dove Kara si ritrova a lavorare. Il pessimo atteggiamento del padre, un tassista che ha perso il lavoro di nome Todd Williams, getterà le basi per creare un legame solido con Alice all’interno di una vicenda che coinvolgerà inevitabilmente il giocatore, trascinandolo all’interno di un tornado di emozioni piuttosto forti.

Connor, semplicemente il mio preferito:

L’ultimo dei tre, che è anche il mio preferito di Detroit: Become Human, è Connor, un modello di RX800 assegnato al supporto operativo della polizia di Detroit. Costui è il primo di cui faremo la conoscenza e che ci “presenterà” quelle che sono le straordinarie capacità degli androidi, soprattutto per quanto concerne l’interpretazione dei dati e la capacità di analisi e osservazione.
Purtroppo, nonostante le sue innegabili capacità, si ritroverà assegnato ad un detective di nome Hank Anderson che non lo apprezzerà tantissimo. Il suo atteggiamento risulta fin da subito piuttosto ostile nei confronti di Connor, che riceverà diverse “frecciatine” dal suo “collaboratore”, alcune delle quali decisamente poco velate…

Avventure collegate dai mille intrecci

Naturalmente le storie dei tre subiranno poi degli stravolgimenti che li porteranno a vivere un’avventura incredibile dai mille risvolti possibili, e sarà il videogiocatore a doverli scoprire attraverso le sue azioni e le sue decisioni.

Androide o umano? Film o videogioco?

Il titolo di questo paragrafo dovrebbe già farvi cogliere la bellezza del comparto grafico di Detroit: Become Human. Il menù iniziale era bastato a farmi rimanere impietrito di fronte alla vero-somiglianza dei volti alle sembianze umane. La definizione delle figure, degli oggetti, dei panorami e della realtà circostante aggiunge immersività ad un’opera che già con la sola storia è in grado di coinvolgere praticamente chiunque.
Tra i dilemmi e i misteri di un mondo tutto da scoprire, sono stato travolto dai vari effetti di luci, ombre e dettagli scenici che mi hanno fatto immedesimare in quelle scene da film che si sono susseguite durante l’avventura.

Ma siamo sicuri sia un videogioco?

Le scene che mi venivano presentate, con tutte le decisioni e le scelte da compiere del caso, delle volte erano così ben fatte che all’inizio non riuscivo realmente a decidere se guardare quali erano le opzioni disponibili o se gustarmi lo splendido comparto artistico che Detroit: Become Human offriva 🙂
Chiaramente, ciò è supportato dal fatto che gli ambienti di gioco proposti sono quasi sempre ristretti e l’interazione con molti oggetti non è disponibile. Tuttavia, la resa grafica, la definizione dei volti e la cura al dettaglio possono dare tranquillamente filo da torcere a molti degli ultimi giochi usciti su Ps4.

Parliamo di questa Detroit

La realizzazione stessa di questa Detroit non credo sia da sottovalutare: le tecnologie presenti, così futuristiche da un lato, eppure così plausibili dall’altro (considerato che parliamo del 2038), sono a dir poco notevoli dal punto di vista estetico; non solo, persino i mezzi pubblici come gli autobus sono disegnati con criterio, coerenza e cognizione di causa. A dimostrarlo è la presenza degli appositi spazi per androidi e per umani, a sottolinearne la voglia, ma soprattutto la necessità, di tracciare dei confini ben delineati tra i due.
In tutto questo, la percezione che rimane è quella di una città viva e che vive realmente il disagio di quei momenti, dove le persone vanno per la loro strada pensando ai loro problemi, alle loro cose da fare e a tutto quello che sta succedendo in torno a loro.

Dove ho già visto queste cose?

Ancora una volta, purtroppo, molte delle idee di base che coinvolgono gli elementi dell’ambiente circostante non sono di sicuro estranee agli appassionati del genere fantascientifico: androidi e umani, intelligenze artificiali ed emozioni, tecnologie avanzate e questioni morali, ho apprezzato tutto questo non tanto per le novità proposte (anche perché praticamente non ce ne sono), ma per il modo con cui sono state messe in pratica nell’insieme.
Non è, insomma, la fantasia delle singole proposte a fare la differenza, ma è l’esecuzione di tutto il complesso a rendere grandiosa la città, i luoghi, il comparto grafico e, perché no, lo stesso Detroit: Become Human.

Il gameplay tra Quick Time Event e Meccaniche già collaudate

Il progetto di Quantic Dream viene presentato con numerose meccaniche di gioco già ben note ai molti che hanno avuto a che fare con il thriller Heavy Rain. Dalla pressione dei tasti giusti col giusto tempismo nei momenti più adrenalinici, si passa poi a pressioni più prolungate, per completare combinazioni di tasti in momenti di stress. A ciò si aggiungono altre azioni (quelle forse un po’ più noiose) che comprendono gesti quotidiano come l’apertura di porte o l’afferrare degli oggetti. Queste operazioni sono solitamente fatte con l’analogico destro, il che non solo rende un po’ troppo macchinose alcune azioni, ma a volte fa anche attrito con la telecamera di gioco, essendo quest’ultima regolata proprio con quell’analogico. Un difetto che non ha pesato troppo sul gameplay in generale, almeno per quanto mi riguarda, ma che capisco possa essere fastidioso per alcuni.

Retroscena interessanti:

Detroit: Become Human non propone soltanto interazioni con oggetti legati alla storia, ma va oltre: la città subisce gli effetti di altri eventi, che ne destabilizzano gli equilibri, a cominciare dal conflitto USA-Russia in alcune regioni del polo nord. Il motivo del conflitto è dovuto alla materia prima presente in questa regione, materia che consente ad entrambi i paesi di produrre altri androidi, che ovviamente potrebbero essere utilizzati non solo per il proprio sistema economico, ma anche in guerra come soldati.
Queste ultime informazioni, insieme a molte altre, ci vengono rivelate attraverso delle riviste che si possono recuperare dalle varie ambientazioni di gioco. Una scelta interessante, che sicuramente attira l’attenzione dei più curiosi e arricchisce il contesto in cui avviene la narrazione.

Androidi dalle mille risorse:

A disposizione del gamer ci sarà anche una particolare abilità dei personaggi che consente loro di trovare gli oggetti, i luoghi e gli indizi con cui interagire, all’interno di una panoramica scura dove gli elementi di interesse vengono illuminati. Ciò chiaramente consente di trovare velocemente molte delle interazioni immediate e degli indizi presenti nelle vicinanze e a portata di telecamera.

Semplificazione eccessiva… oppure no?

Se per alcuni può sembrare una semplificazione eccessiva, l’interpretazione da me fornita risulta un po’ diversa: l’idea, infatti, credo sia quella di mettere il videogiocatore nei panni di androidi palesemente più intelligenti e più capaci degli esseri umani, e quindi in grado di elaborare soluzioni complesse come se per loro fosse un gioco da ragazzi; non solo, ma riuscendo a valutare velocemente quali sono le possibilità, ognuno si ritrova in poco tempo a dover prendere una decisione dietro l’altra. Nei momenti più frenetici, questo fatto crea una situazione di stress molto coinvolgente, perché costringe chi gioca a decidere in fretta quasi quanto il personaggio stesso nella “realtà”. Alcuni troveranno ciò un elemento comunque fastidioso, nonostante di fatto io l’abbia reputata un’idea piuttosto interessante di unire l’utile al dilettevole.

Il riepilogo di ogni capitolo:

Al termine di ogni scenario verrà concluso un capitolo, e un diagramma a blocchi vi mostrerà le scelte fatte e il percorso scelto. Una trovata interessante, soprattutto perché il diagramma non mostra quali siano le altre possibilità, ma solo che ci sono, aumentando ancora di più la voglia di sapere quali erano l’alternative.

Detroit: Become Human™ – I diagrammi rivelano la presenza di opzioni aggiuntive, ma quali sono queste opzioni

Colonna sonora: bene…

Il comparto grafico di Detroit: Become Human è supportato splendidamente da diversi sottofondi musicali straordinari: suoni molto delicati e sinfonie melodiche di alto livello riescono ad esaltare ulteriormente l’enfasi dei momenti più drammatici ed emozionanti del titolo, diventando un po’ più ritmati e incalzanti nelle fasi più movimentate della trama. Archi, pianoforte e molto altro si uniscono ad un’ottima regia per completare le scene di un’opera dall’esecuzione praticamente impeccabile.

Doppiaggio: non benissimo

Discorso diverso vale per il doppiaggio: nonostante sia presente una traduzione con lingua e sottotitoli in italiano, le voci dei personaggi risultano a volte disturbate da volumi distorti, complice forse alcuni problemi tecnici dell’audio. Lo stesso problema non si presenta invece con i dialoghi in inglese, della quale non ho trovato difetti particolari di sorta. Eventualmente, è possibile comunque approcciare il gioco con i dialoghi in inglese e i sottotitoli in italiano.

In definitiva:

Come già accennato a inizio articolo, non sono un grande fan delle avventure dinamiche e non sono abituato a giocarle con costanza, ma quella di Detroit: Become Human è senz’altro un’opera sulla quale vale veramente la pena mettere le mani. Non troverete probabilmente delle idee molto innovative per quanto riguarda il contesto fantascientifico, ma la storia e il comparto artistico attorno a cui ruota il tutto sono stati per me sensazionali. I paesaggi, gli ambienti di gioco, i personaggi e la rigiocabilità di una trama dai molteplici epiloghi, hanno decisamente convinto il sottoscritto, tanto che sono riuscito tranquillamente a passare oltre alcune soluzioni un po’ stereotipate proposte all’interno del gioco.
Nel complesso, perciò, non posso che ritenermi soddisfatto di aver avuto la possibilità di provare questa incredibile esperienza videoludica chiamata Detroit: Become Human, un titolo di cui Quantic Dream dovrebbe davvero andare fiera.

Voto Finale: 8,8

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Videogiocatore da tempo immemore, con la passione per questo mondo che non ha minimamente risentito dei 25 anni trascorsi a giocare.

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